Extrò Pirata

Extrò Pirata

La fragranza del dopobarba è un classico: alla prima annusata è fresco e agrumato con un tocco di dolcezza, ma sottile ed elegante, non stucchevole come un sacco di vecchie colonie inglesi da barbiere. Poi lascia un profumo leggermente balsamico e speziato. Un mischione ma ben bilanciato, non c’è un odore caratterizzante che sovrasta gli altri.

I nutrienti del sapone sono frutto di un sondaggio Facebook sul gradimento dei prodotti precedenti. Così la crema è stata arricchita con olio di calendula (vedi TABACCO), dalla resa schiumogena che ha poco da invidiare ai saponi con sego bovino, quindi una schiuma densa e molto scorrevole. L’altro nutriente è la pappa reale (vedi MIELE), dunque ottimi anche la protezione e il post, con una pelle molto morbida e liscia, come se l’aveste lucidata con la cera d’api.

Perché mi piace? Pensate al successo planetario tra i ragazzini di tutti i film della serie dei Pirati dei Caraibi. Io credo che sia perché tocca qualcosa di molto profondo, qualcosa che abbiamo tutti dentro, nonostante le diversità di cultura e di posizione sociale, che il capitano Sparrow, sarcastico, maldestro e spaccone, con la faccia da Johnny Depp, ha qualcosa di irresistibile per tutti, dai radicali ai borghesi. È, infatti, un desiderio comune a molti quello di volersi affrancare dalle regole e dalle strutture di potere della nostra società: che siano adolescenti che sognano di vivere da soli, lontani dal controllo della famiglia, o che siano impiegati che sognano di non dover più rispondere al proprio capo.

Il fenomeno è ancora più sorprendente se considerate che l’epoca d’oro dei Pirati è durata solo pochi decenni e ha coinvolto poche centinaia di uomini, eppure è diventata una leggenda che continua ad affascinarci.

Qualcuno anticipa il loro periodo, confondendoli coi cosiddetti bucanieri, ma la storia dei pirati inizia e finisce con la storia di due capitani francesi: da Emanuel Wynn, che nel 1700, mentre è inseguito da una nave della marina inglese al largo delle isole di Capo Verde, issa il primo Jolly Roger di cui si abbia notizia, fino ad Olivier LaBuse, l’ultimo dei pirati, impiccato a una palma su una spiaggia dell’isola di Bourbon, a Reunion nel 1730. Dunque trent’anni trascorsi trecent’anni fa di cui ancora subiamo il fascino. «Il segreto è che toccano corde archetipiche per tutti noi», spiega l’antropologo libertario Gabriel Kuhn, esperto di microscoietà e grande studioso dell’epoca della pirateria.

Quello che rende quel momento della storia così irresistibile per molti ancora oggi è il concetto assoluto di libertà che porta con sé, spiega Gabriel Kuhn. Quel senso di libertà assoluta che riesce a spingere delle persone a mollare tutto, a voltare le spalle alla propria casa e al proprio paese e a scappare da tutte le convenzioni politiche, sociali e culturali. Significa superare tutti i confini e tutte le leggi entro cui la società vuole costringere l’individuo, è quello ad essere magnetico e affascinante. È quella la forza della loro storia, quella che spinge persone isolate e antisistema a cercare un gruppo che condivide il loro spirito di ribellione e che le fa salpare su una nave per affrontare il mare aperto e rischiare la vita sotto una bandiera nera, per costruire una società nuova, da zero. O almeno, questa era la situazione degli anni che definiamo come l’epoca d’oro della pirateria.

Secondo l’analisi dell’antropologo libertario Pierre Clastres, i pirati sceglievano consapevolmente di privarsi dell’entità statale e di evitare che essa potesse emergere creando divisioni e diseguaglianze. Perciò, così come le società primitive amerindiane studiate da Clastres, le comunità pirata erano, non solo, prive di Stato, bensì contro di esso. Infatti i numerosi studi storici ed antropologici sulle comunità pirata hanno evidenziato sempre il loro carattere fondato sull’egualitarismo.

Lo storico Marcus Rediker ha individuato tre caratteristiche principali che stavano alla base dell’organizzazione sociale egualitaria delle comunità pirata:
– Una società collettiva creata in aperta opposizione alla logica della cooperazione fondata sul raggiungimento di un profitto, cioè, per capirci non lavorando insieme otto ore al giorno e poi ognuno padrone a casa sua.
– Il radicale rifiuto di ogni gerarchia, di ogni autorità e lo stretto controllo del capitano da parte di tutta la ciurma, poichè, sempre citando Rediker, “il capitano era la creatura del suo equipaggio”, il tipico “capo senza potere” delle società primitive amerindiane.
– Il divieto per il singolo di accumulare bottini che serviva a scongiurare una diseguaglianza che sarebbe stata la forza disgregante per la società pirata.

Per concludere, bisogna provare a rispondere a una domanda: I pirati erano anarchici?
Se per anarchici intendiamo la consapevole ricerca di realizzare degli ideali sociali di eguaglianza e giustizia universali, allora molto probabilmente le comunità pirata non erano anarchiche, poichè non presentavano alcun ideale sociale estensibile all’esterno della propria comunità. Se invece per anarchici intendiamo il rifiuto di ogni forma di autorità, dei confini imposti dallo Stato-Nazione e la volontà di vivere al di fuori del suo controllo, come forma di opposizione, critica e lotta, allora le società di pirati incarnano alla perfezione il concetto di Anarchia.

Libertà, Uguaglianza, Anarchia, così i Pirati sono sopravvissuti alla storia. Così ho issato questo sapone e questo dopobarba sul pennone del mio lavandino. 💀

Armando Ilič Misasi, 13 aprile 2017